Una caccia
Erano andati a caccia di balene, amavano dire sorridendo a chi li incontrava. Abbassavano il cappello, e senza troppi convenevoli sparivano nella neve. Con loro c’era il piccolo di uno dei bracconieri; la sua slitta era dipinta di rosso vivo fin nelle più intime scaglie di legno, e ci teneva che non si scrostasse sul ghiaccio, così ci metteva sotto una rete fitta di maglia di juta che teneva un grande panno imbottito su cui scivolava.
Era uno spettacolo veder partire un simile prodigio dell’uomo per un’assurda battuta di pesca. La pesca sul lago è già di per sé assurda; devi aspettare secondi, minuti, ore, più paziente del pesce, scuotere l’acqua lentissima con le mani attorno alla barca per sentire se ancora qualcosa si muove sotto, e attendere la marea.
Giunsero con i cani su un altipiano. Scesero le canne lustrate d’ebano, e con loro sbarcarono Il piccolo, che volle un attimo inseguire con gli occhi la furia possente di un cane che si era fermato con gli altri giocando al tiro del corpetto, e tirava dolcemente la fune del collare per strattonare il padrone. Egli scese, e notando lo sguardo impressionato del piccolo, lo liberò assieme agli altri, ma sempre tenendoli ad una certa distanza dal bambino. Lui ammirava il vapore possente che emanava il muso di quel cane, un respiro intenso, l’agitarsi del pelo bianco e grigio fluttuante al vento polare.
Il ghiaccio sotto di lui, mentre camminava, cedette agli scarponi. Uno spruzzo che si cementò col ghiaccio circostante bagnò gli altri, mentre lui si immergeva per intero sott’acqua a un paio di centimetri dalla superficie. Il padre scese immediatamente dal suo mezzo, prese il suo bastone e si precipitò verso il piccolo, che estendeva le mani cercando di resistere con le braccia troppo corte per aggrapparsi e gli occhi aperti, tramortiti. Il padre arrivò col bastone, e lo allungò verso suo figlio. Fece appena in tempo ad afferrare il bastone, che il padre ne perse la presa, e cadde nel ghiaccio anche lui. Gli altri si avvicinarono per soccorrerlo, mentre uno dei cani che il bambino aveva guardato soffiare al mondo prese a correre verso di lui. Avvicinò il muso all’estremità del bastone rimasta ancora a terra, e la trascinò verso sé con tutta la forza che aveva. Il bambino aveva le gambe che non riusciva ad agitare più, ma era ancora aggrappato al bastone.
Quel cane lo tirò fuori. Al piccolo, che negli occhi aperti aveva ancora la pozza d’acqua gelida, gli spruzzi, il proprio fiato flebile, si avvicinò il muso soffiante del cane, e lui sorrise
accarezzandolo. Restò per un poco abbarbicato su quel pezzo d riva, finché non giunse suo padre, credendo che il cane volesse mangiare il piccolo, riprese il suo bastone e scansandolo dal viso del bimbo gli mise nel muso un pezzo di legno tirato da due corde, di quelle della sua slitta, e lo trattenne indietro.
Il padre fece sedere il piccolo, che non riusciva ancora a camminare, su un rialzo di neve vicino al buco; mentre il cane stramazzava tra le mani avide di quegli uomini sorridenti. Il ragazzino lo vedeva impennarsi ed emettere enormi sbuffi di vapore, mentre gli tenevano il muso con le corde e il pezzo di legno. Sembrava una potenza naturale, invincibile, quando fletteva il collo in tutte le direzioni, e si alzava all’altezza di un uomo. Uno dei tre che lo teneva gli sparò alla testa, e l’ultimo sbuffo bianco lo abbandonò. Alzò il muso ancora una volta, e cadde come una chimera sconfitta dinnanzi allo sguardo impaurito del bambino.
Lo trascinarono via, lontano dagli altri cani, e lo buttarono nella pozza in cui era caduto il piccolo. Scivolò giù finché l’acqua non gli tenne sommerso il muso. Restò con una zampa appena fuor l’acqua, quasi volesse aggrapparsi; un attimo dopo, l’abisso d’acqua lo reclamò come un tributo di guerra. Il padre rimise il piccolo sulla slitta, legò gli altri cani, e partirono. Tornarono al solito, a tavola, raccontando come il piccolo si fosse salvato per miracolo, dopo aver ucciso un’altra balena.
L.M (Luca Marzano)
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