giovedì 5 maggio 2011

Le trecce di Giovanna


Le trecce di Giovanna

Aspettavo in piedi davanti alla sua porta. Poi mi sedetti sul pianerottolo.
“Ricordi quando poggiavo le dita dove non volevi? Lo ricordi? Intrecciavamo le nostre mani sulla tua pancia, fantasticando d’un bambino che, pensavamo, sarebbe nato col primo bacio. Ricordi?”
Il mare ha il pregio di guarire i pazzi dal loro male perenne. Ero un pazzo che toccava il suo mare, le mani erano onde sul pube di lei ancora informe. Riuscivo a volte a tracciarne anche qualcuna sulla sua pelle bianca, quando lei voleva.
Lei aprì un poco la porta, affacciandosi - “Che vuoi..non è più tempo!” disse.
Misi un piede nella scanalatura. “Era come quando eravamo bambini, ricordi?” - le dissi.
Lei abbassava lo sguardo, tentando di chiudere la porta.
“Eravamo a un passo...ricordi, lo ricordi? Con le tue trecce facevi a gara insieme alle onde a chi ...sì, a chi era più bella, più lunga, più chiara…”
“No! No, non lo ricordo!” fece lei.
“In riva al mare, sugli scogli, si stava male, ma ci si stava, io e tu.”
“No, no, non voglio...non ti voglio..”
Le lacrime le vennero appena sotto gli occhi. Allentò la pressione sulla porta - finalmente entrai. Lei era in vestaglia.
La fissai un attimo.
“Come...come, mi hai...mi hai dimenticato? Non sono stato altro che un attimo, allora?”
“No, aspetta, no, è passato..è tutto passato…” diceva trattenendomi un braccio.
“Stai piangendo. Non sono passato per essere dimenticato, io. Ma tu…” - le allentai la vestaglia. Era nuda, completamente nuda sotto.
“Sai che non credevo ci fosse sul tuo corpo una tale bellezza...scalfita..scalfita per colpa dello spirito, non della carne…”
“Ma che dici? Cosa..cosa dici” - diceva fra le lacrime.
“No, no facciamolo, ti prego...ti desidero…”
“No, non posso. Noi non siamo..non siamo più.”
“Non siamo più... insieme, vuoi dire? Dai, su, ti ho sognato e ora che ti ho, non ti concedi? La dai a tutti, me l’hai data nei sogni, ora dammela sul serio!”
“No, non posso. C’é Gianluca di là...c’é Gianluca…” disse accasciandosi con le braccia incrociate sul volto.
“Che...Gianluca? Chi è Gianluca per rubarmi te? Chi é Gianluca!”
Lui uscì, in vestaglia, dalla camera da letto. Mi fissò, mi fissò negli occhi infuocati più del sangue. Non riuscì, nonostante avesse in mano uno di quei vecchi telefoni a disco combinatore, a colpirmi. Non si mosse, impietrito.
“Chi sei tu, chi sei per rubarmi il mio mare? Chi sei? Il mare ci ha voluti insieme, io lo voglio!”
Scorgevo da lì il loro letto. Era distante, non lo toccavo, sembrava ancora tiepido - appena sfatto - come in una foto del cui istante avverti un calore latente, nascosto in fretta sotto le lenzuola.
Lui lasciò cadere pesantemente il telefono sulla moquette blu. Era come la loro vestaglia, quella moquette pesante che soffocava le cose più belle sotto un mare d’un solo colore.
Mi girai verso di lei, e la presi con forza tirandola su. La baciai sul collo - era un punto su cui non voleva essere baciata, perché le dava un piacere incontrollabile.
“Dai, vieni, andiamo” - aggiunsi, e nient’altro. Sentii la porta che si chiudeva sbattendo.
Facemmo l’amore per tutte le volte che avevamo guardato il mare.

L.M

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