La classe operaia va in paradiso
In questi giorni ho letto molte volte che il 1° maggio non è più "la festa dei lavoratori", ma il giorno della "festa della libertà di lavorare o non lavorare".
A cosa dobbiamo questa trasformazione?
La classe operaia è morta. Il capitalismo è il miglior sistema economico-sociale realizzabile sul pianeta Terra; la storia lo dice, il comunismo era una semplice utopia.
Detto questo, cos'è, allora, il lavoro?
Il capitalismo ha modificato la concezione che del lavoro aveva l'uomo: oggi il lavoro non rende liberi, né rende uomini.
Il lavoro rende schiavi.
Si lavora sempre per qualcun altro, c'è sempre qualcuno che guadagna su quello che fa un altro, c'è una piramide umana sopra e sotto ogni lavoratore.
Se tu guadagni 100, sopra di te c'è uno che guadagna 200 e , sotto, uno che guadagna 50.
C'è sempre un padrone, sempre uno schiavo.
La classe operaia ha perso quello che un tempo si chiamava "coscienza di classe".
Il capitalismo, infatti, è riuscito a rinnovarsi, a sopravvivere a sé stesso, trasformando il suo peggior nemico nel suo più potente alleato.
La classe operaia è necessaria al capitalismo; ma il capitalismo la teme, ha paura della sua forza, della sua compattezza, del suo numero.
Una classe operaia socialmente stabile, in costante crescita numerica, culturalmente preparata, è una bomba ad orologeria sulla testa dei padroni.
E allora tocca al capitalismo disinnescare quella bomba senza perdere le proprie caratteristiche di sistema.
Come?
Annullandone la stabilità, la compattezza, il numero in costante crescita, la preparazione culturale; rendendola, cioè, una classe sociale fluttuante, di passaggio, numericamente stabile, disgregata e ignorante.
Gli operai, infatti, se seguono le regole del sistema, possono diventare borghesi, padroni di qualcun altro, oppure, se non sono in grado di ingrassare la pancia del capitalista, possono diventare sotto-proletari, morti di fame esclusi totalmente dalla società.
In tutti i casi servono il sistema: nel migliore delle ipotesi, lo accrescono ingrossando le file dei capitalisti, nella peggiore, non possono attaccarlo, sono inoffensivi.
E dunque l'operaio vive nella speranza di diventare borghese e nella paura di diventare sotto-proletario.
Per questo, non bada più a sé, non si guarda, non si cura della propria condizione, e si annulla, si dimentica.
Al capitalismo non resta che rendere la gente ignorante, e per lui è cosa abbastanza facile, basta, infatti, destabilizzare le scuole, impoverirle; ma non tutte, certo, solo quelle pubbliche ad ogni grado di istruzione.
I borghesi non le frequentano; i borghesi studiano in istituti privati.
E allora tutto è chiaro.
Trasformare la "festa dei lavoratori" nella "festa della libertà di lavorare o non lavorare", è la naturale conseguenza di questo processo, è l'ultimo passaggio per cancellare definitivamente ogni velleità di coscienza, di identità, di forza, che la classe operaia ha.
E' il de profundis dei lavoratori.
G.P.
Nessun commento:
Posta un commento