Lui, in un angolo, aspettava qualcuno, o meglio qualcosa, che si tirasse fuori da quel cartone d'idee fracassate e distrutte che teneva con cura sotto il letto. Consumava l'apatica con una apatica sigaretta. Aspettava col garbo di un gentleman, la barba fatta, in giacca e cravattino, nel semi-buio di un angolo retto. La sua epica figura aveva il vizio degli inetti.
Ma la vita non è una sigaretta.
Lui fumava; il pavimento era coperto alternativamente, un mattone sì e uno no, dai mozziconi.
Erano saggi a lasciarsi cadere dalle sue mani...perché prima o poi avrebbe spento anche quella sigaretta. E dopo altre.
Gli interessava agire direttamente sul fuoco, acchiappare tra le dita il tabacco incandescente e - senza rumore - soffriggersi un pò i pollici per far morire prima qualcosa che semplicemente era alla fine. Ma una sigaretta non finisce mai, in realtà: nessuno vuole arrivare a fumarsi le dita,
si potrebbe benissimo fumare all'infinito una sola che fumarne altre.
La fragile incastellatura d'atomi dell'interno di un Hinderburg in miniatura ardeva. Lui decideva come e dove, e se continuare a disseminare rottami sul pavimento, o spegnere anche quella sigaretta.
Lui non decise: non era in grado. Il pavimento dolorosamente buio, sovraccarico d'acque e inscatolato non è la vita. Non se ne andrà mai da quel paradiso; lui aspetterà.
L.M
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